Prima stesura 02-07- 2010 v
26 18-07-2014
Sudisti al Parco
di Mauro D’Orazi
revisione testo a
cura di Giliola Pivetti
Revisione di Giliola Pivetti – Consulenza di Alice Ianniciello
dedicato a Nadia Minichiello (+2013) che non è
più tra di noi
Provincia di Avellino
Nei primi anni ’60 cominciarono a
frequentare il Parco i figli degli immigrati dal sud Italia e definiti in gergo
dialettale, oggi politicamente scorrettissimo, ma che riporto, con un certo
imbarazzo, per dovere di cronaca e per far capire meglio il clima di allora,
come maruchìn a Carpi, maruchèin a Modena, oppure anche taròun,
taròoni
o mandarèin. Oggi, in
presenza di ben altre immigrazioni e per non perdere l'abitudine
piccolo-provinciale alla distinzione, si usa per specificare … maruchìn
di nostèer. In quegli anni in
zona ex Bar Mercato fu coniata anche questo modo di dire: Musica èelta, màachina bàasa, a
gh è un maruchìn ch a l pàasa!
Fu anche coniato il termine di marucaja, nel dopo
guerra, con riferimento ai gruppi di gente meridionale che per i loro usi e
costumi lasciava perplessi gli indigeni locali. E’ forse uno fra gli ultimi
esempi dell’uso specifico dei suffissi -aja. Si tratta di un neutro plurale
collettivo che enfatizza il significato base del termine a cui si aggiunge.
Nella generalizzazione si coglie un vago senso di negatività, dovuto alla
sostanziale incomprensione tra due mondi, venuti repentinamente a contatto coi
primi effetti del decollo economico di Carpi.
Ecco ad esempio una poesia del 1954 dal numero unico
umoristico La scupàza, che dà una
chiara idea dei sentimenti preoccupati e allarmati di quel tempo da parte dei
carpigiani; oggi un tale testo non sarebbe pubblicabile, ma lo riporto per
capire i sentimenti dell’epoca:
di anonimo (probabilmente Micin)
Già da un po’
avevano iniziato ad arrivare a Carpi attirati dal nascente BOOM della
maglieria, da un lavoro stabile e dall’invidiabile clima sociale e civile delle
nostre zone.
Quasi tutte
queste persone, spesso intere famiglie, dopo anni anche molto difficili, si
integrarono bene a Carpi e divennero e sono oggi parte viva e sostanziale del
suo complesso, ma solido tessuto sociale.
Rammento
l’immigrazione dall’Irpinia e il suono
dei nomi delle famiglie più note e numerose cominciò a diventare consueto alle
nostre orecchie: gli Ianniciello, i De Minico, i Venuta, ecc …
I rampolli di
queste articolate e ampie famiglie cominciarono subito a frequentare anche loro
il Parco … dunque nuove bande apparivano, altre si dissolvevano nel nulla. Ma
il territorio di conquista era sempre quello: il Parco, un luogo dove potevano
sfogare la loro grande vitalità ed energia giovanile.
Si trattava in
genere di ragazzi con caratteri personali piuttosto primari e diretti, in
dialetto si direbbe sèinsa tanti vultèedi (senza tante voltate, andando
direttamente al punto).
Erano abituati
subito a sistemare le questioni di territorio e di precedenze con la forza
fisica, coraggio e sprezzo del pericolo, qualità di cui certamente loro non
difettavano . Spesso avevano una
tribolata carriera scolastica e contesti familiari difficili.
Avessero
incontrato i loro feroci omologhi carpigiani ante guerra e fino ai primi anni
’50, non ci sarebbe stato nessuno spazio per loro, ma invece incontrarono solo
“noi”, “rammolliti “ dal crescente
benessere economico e materiale. Ormai
eravamo molto meno avvezzi a un sano e muscolare esercizio arbitrario delle
nostre ragioni. Noi avevamo tutto da perdere, loro quasi nulla. Al lettore non
sfuggiranno, mutatis mutandis, impressionanti analogie con la situazione
attuale.
Tuttavia la
convivenza pur difficile non era impossibile; ricordo solo qualche lite per uso
improprio di bici altrui, discussioni sull’applicazione delle regole nei vari
giochi di palline e, più tardi, sui
“diritti di frequentazione delle “bambine” e poi delle “ragazzine”..
**
Dei tanti
ragazzi meridionali assidui frequentatori del Parco ne voglio ricordare due in
particolare, fra i tanti possibili, la cui conoscenza ha lasciato una traccia indelebile nella mia esperienza
di vita e di frequentazione del Parco. Li richiamo alla mente con un sentimento
di affetto umano, dovuto alla tragicità della loro vita; un duro destino che
sembra talora malignamente prediligere e perseguitare certe persone. Un
“perverso gioco “ della vita, che a un certo punto porta a confondere l’origine
oggettiva e incolpevole delle cause di certi comportamenti, con quanto poi scaturisce dalla piena e
cosciente consapevolezza personale e dall'esercizio del libero arbitrio. Erano
portati a perseverare e aggravare progressivamente certe scelte socialmente
negative fino a raggiungere punti tragicamente di NON ritorno.
Il passare del
tempo e la morte, che tutto ridimensionano e attutiscono (è appena il caso di
citare Totò "A morte 'o ssaje ched'è ? ... è una livella!"), mi
consentono di addentrarmi, con tutto il rispetto possibile, in vicende dolorose
e spiacevoli che andrebbero perdute per sempre.
Si tratta di
due veri protagonisti di quell’epoca: Silvano
Ianniciello, detto Franco, e di Prisco Ianniciello.
Franco era un
po’ più grande di me e nacque a Carpi da una delle prime famiglie di immigrati;
un bel ragazzo, non troppo alto, corporatura da ginnasta, carnagione scura,
fitti ricciolini, due occhi penetranti velati da un’ombra di angoscia e
insoddisfazione. Aveva un passo molto caratteristico, felpato e morbido,
leggermente ondulante, che stava a significare: “ Sto arrivando! Sono qui !
Attenzione!”
Ottimo
nuotatore, era noto per i suoi splendidi tuffi a pendolo e carpiati dalla
piattaforma alta della piscina comunale di Modena (allora a Carpi non c’era
ancora e poi, chissà perché, nelle piscine della nostra città è sempre stato vietato tuffarsi).
Prima di buttarsi, si preparava per decine di secondi con mosse lente e
studiate per assumere la posizione definitiva; quando era certo che il maggior
numero possibile di persone lo stesse guardando … finalmente si lanciava con meritata
ammirazione.
Una persona
inquieta, che cercò sempre di integrarsi con noi, talora anche disperatamente;
ma purtroppo non riuscì mai a trovare un suo equilibrio interiore stabile.
Dario D’Incerti
ed io lo conoscevamo bene, nel periodo della tarda adolescenza. Per i suoi
atteggiamenti decisi, lo consideravamo con un certo rispetto.
Ci raccontava
storie di vita improbabili, ma mai sentite prima, che riesaminate con gli occhi
di oggi, erano quasi totalmente di fantasia. Ma allora era anche bello
crederci.
Me lo ricordo
come fosse adesso quando si presentò al Parco in sella a un lucido e cromato
motorino da cross Mondial da 50 cc; orgoglioso e appagato del suo nuovo
invidiabile status.
Mondial cross
da 50 cc
Decantava,
senza risparmio di lodi, le fantastiche doti del mezzo e noi lì in cerchio ad
ascoltare a bocca aperta. Dopo un po’ si seppe che si era eclissato da Carpi,
senza mai aver pagato nemmeno la seconda rata del prestigioso acquisto.
Lo rivedemmo
raramente, anche perché andò all’estero in Europa a cercare miglior fortuna.
Ad ogni
incontro continuava a narrarci il suo repertorio di affabulatore, al quale noi,
pur annuendo, facevamo fatica a credere. Si sposò ad Hannover in Germania con
una tedesca di nome Regina Rinne, dalla quale ebbe un figlio: Marco.
22-10-1975 -
Silvano (Franco) Janniciello e Regina Rinne sposi in Germania
La sua bellezza
e prestanza latina, fecero girare la testa a una contessa bolognese, purtroppo
dedita all’uso di droghe e che naturalmente lo coinvolse nell’abisso. Franco
non seppe, o non volle, più fermarsi e da lì all’alcol il passo fu breve.
Ma una triste
sorte attendeva questo singolare e infelice cavaliere errante, “artista naif”,
disperato e intelligente; lo trovano morto in strada a Barcellona in Spagna nel
1986, avvelenato da chissà quale maledetta mistura liquida. A un fratello,
quello che amava di più, toccò il triste compito di riportarlo a casa in aereo
e seppellirlo nel cimitero di origine della famiglia.
Imparai la
notizia in modo singolare; come funzionario del Comune il mio compito era di
aprire tutta la posta. Aprii una busta del consolato spagnolo e con dolore e
sorpresa trovai il certificato di morte per l’annotazione allo Stato Civile.
**
L’imprenditore e fotografo
Norberto Magnani conosceva bene Franco Ianniciello, si frequentavano ed era
diventato un po’ il protettore della loro compagnia per difendersi da altre
bande di ragazzi un po’ irruente e irrispettose.
Un pomeriggio Norberto arrivò in
Piazza con il suo Vespone, Franco gli chiese se poteva prestarglielo per una
faccenda urgente. “Non c’è problema! - rispose Norberto - Però tieni anche il
mio giubbotto perché c’è freddo.”
Franco prese scooter e giubbotto
e partì; se non ché nella tasca interna dell’indumento, Norberto aveva lasciato
consapevolmente una non trascurabile mazzetta di banconote nel tascone interno.
Dopo un’oretta Franco tornò e nel
restituire quanto gli aveva prestato, abbracciò Norberto e gli disse con
commozione: “Ho trovato i soldi e ho capito che ti sei fidato di me! Questa
cosa per me è una prova di fiducia importantissima. Non lo scorderò mai!”
Negli anni
successivi Franco sparì da Carpi e intraprese la sua complessa e arrischiata
strada di vita; per Norberto fu una grande sorpresa rivederlo, dopo un bel po’
di tempo, in piazza a Carpi esibirsi in un gruppo di giocolieri e saltimbanchi.
**
L’altro
personaggio per vari aspetti eccezionale fu Prisco Ianniciello, forse lontano
cugino del precedente. Un fisico robusto e muscoloso, capelli scuri e mossi con
un ciuffo arruffato sulla fronte; il naso un po’ aquilino, la mascella decisa e
squadrata; due occhi scuri e fiammeggianti di cui non era possibile sostenere
lo sguardo.
D’estate
frequentava il Parco, un capo popolo sempre con atteggiamenti esuberanti e
senza regole. Spesso quando lo vedevamo arrivare facevamo su roba e palline per
evitare pericolosi confronti. Infatti sfidarlo sarebbe stato un atto suicida ed
io e tanti altri preferivamo prudentemente e preventivamente lasciare campo
libero, spostandoci in zone più lontane … a distanza di sicurezza.
Ogni tanto
appariva al Parco, o anche presso il pratino di via Hans Semper, dietro al
vecchio macello - cremeria, armato di carte da gioco ed insisteva con tutti i
presenti perchè si giocasse con lui. Ma in pochi avevano voglia di affrontare
la sua foga, la sua abilità e di perdere le 10 o 20 lire, posta che subito
proponeva, in evidente bella vista, prima di iniziare. Poi se ne andava e spariva per giorni, ... per ripresentarsi
allo stesso modo.
Mai avremmo
pensato o previsto che invece in lui era ben presente un prezioso e eccezionale
talento … quello della musica. Quasi da autodidatta si mise a suonare con
perizia e passione la tromba e il sassofono. Prese parte a continue tournèe su
prestigiose navi da crociera. Fu anche componente occasionale del complesso che
accompagnava Toto Cotugno e che si chiamava Toto e i Tati nella seconda metà
degli anni ’60.
Un
sassofono
e un disco 45 giri di Toto e i Tati
Poi si trasferì
a Torino a fare l’imbianchino. Ma anche per lui c’era un tragico destino ad
aspettarlo. Verso i 40 anni nella sua testa qualcosa cominciò a non funzionare
a dovere. Smise di girare e poi anche di suonare.
Passò gli
ultimi anni a Carpi, dove svolgeva ancora saltuari lavori da imbianchino,
arrotondando all’occorrenza; non era difficile vederlo pedalare con fatica su
una scassatissima bici da donna per le strade del centro, sempre più tragica
ombra di se stesso. Una sera d’estate del ’93 era fermo davanti al Mattatoio
(Via Rodolfo Pio) e mi attentai a chiedergli: “Prisco ti ricordi quando eravamo
al Parco: i giochi, le palline, le liti …? “Lui, con gli occhi persi nel vuoto,
picchiandosi più volte col palmo della mano destra sulla fronte, mi rispose:
“Io non mi ricordo niente … la mia testa
ha cancellato tutto … tutto !!! Non so
più nemmeno suonare !!“ Il tono era certamente triste, ma dava anche l’idea di
una liberazione (finalmente) da dolori e tormenti di un passato che egli
preferiva dimenticare dietro una coltre di oblio, per vivere un presente
certamente vuoto, ma privo di sofferenza.
Lo guardai
sorpreso e attonito, incapace di proferire una frase di replica minimamente
sensata, al di là di un mio muto accenno del capo di pura circostanza. Il breve
colloqui finì così e mi allontanai cupo e angosciato.
Qualche anno
dopo, nel 2002, Prisco lasciò il mondo silenziosamente e da solo; lo trovarono
a letto esanime, insalutato ospite di un mondo che non era più suo da tempo.
Ecco in
conclusione come lo ricordò Gianfranco Imbeni su Voce di Carpi in una sua
efficace nota del 25 settembre 2002:
“PRISCO
IANNICIELLO
Non è vero, come
ha scritto frettolosamente un quotidiano locale, che Prisco Ianniciello
"amava suonare la chitarra", neanche nella giovinezza si era mai
concesso a piacevolezze da compagnons de la chanson, quelli che esprimono
sensazioni e che trasmettono emozioni. Quando suonava vibrava come le labbra al
bocchino della tromba (il suo strumento principe) ed era una sonorità
virginale. Suoni gratuiti, necessari, com'è della vera musica, un po' Miles
Davies e un po' Gerry Mulligan, per intenderci. Fraseggi limpidi e liberi in un
fluire di "legati", consoni alla sua indole, più ricorrenti rispetto
agli "staccati" tipici invece di chi vuole colpire la fantasia. Fantastico
lo era fin troppo del suo, e sapiente di tecniche, altro che l'autodidatta che si diletta o vuole stupire!
Intorno ai
trent'anni qualcosa lo distolse dalla sua tromba (e dalla tastiera del
pianoforte che percorreva da virtuoso): non un "incidente", come
anche è stato scritto, e forse nemmeno una cupa delusione amorosa. Da allora
Prisco continuò fino ai 50 anni ad accompagnare in silenzio i suoi blues
interiori, trascinando per mano la bicicletta, il passo elastico ritmante, lo
sguardo celeste facile ad aprirsi a un sorriso disarmato, specie se qualcuno lo
incitava a riprendere a suonare. Come per dire: "Che senso ha fare musica
in una città come questa?!".
**0**
*
Anche lo scrittore Carlo Alberto Parmeggiani ricorda bene
Prisco. Con lui ebbe una bella scazzottata che finì fortunosamente in favore
del Parmeggiani; dopo diventarono addirittura buoni amici, tanto che da essere
citato alla veloce nel suo romanzo "La vera storia di Leon Pantà".
**0**
corrispondenza con la nipote Alice
Da: alice_ianniciello@hotmail.com
Data: 11/05/2012 13.42
A: <dorry@libero.it>
Ogg: blog dialetto carpigiano
Il fratello citato che andò a recuperare
la mala sorte del fratello Silvano è mio padre, un flash di vita passatomi
davanti gli occhi,
facevo una ricerca e mi ritrovo questo
scritto a pochi giorni dal compleanno dello zio.
Non ho potuto pubblicare il mio pensiero
senza accedere con profilo
Saluti, Alice Janniciello
**
-------Messaggio originale-------
Da: dorry@libero.it
Data: 11/05/2012 16.40.25
A: alice_ianniciello@hotmail.com
Oggetto: mauro d'orazi allego file doc
cara alice
la tua email mi fa grande piacere
nonostante le tristi circostanze.
**
ho pensato così di ricordare e onorare
tuo zio.
la cui tragica fine ancora mi turba
profondamente.
era un ragazzo con delle valenze, ma
forse anche troppe debolezze che lo hanno portato a seguire un destino tragico,
a cui sono convinto, NON era obbligato.
spe(s)ro di essere
stato delicato e nello stesso tempo aver rispettato la verità delle cose, anche
dure.
tutti ricordi che altrimenti andavano
persi.
e onestamente non mi sembra giusto
**
ti mando il testo completo che tratta
del Parco
che ha voluto essere un affresco dei
miei anni di gioventù.
Leggendolo nel suo complesso il contesto
appare più chiara e giustificato
molte parti sono uscite in ben sei
puntate su Voce di Carpi,
ma il pezzo sui meridionali , il
direttore non ha voluto pubblicarmelo perché troppo ... triste e forse scomodo
*
mi trovi facilmente su facebook
come Mauro D'Orazi
e anche nel gruppo di FB conosci il dialetto carpigiano.
spero di risentirti
ciao mauro d'orazi (detto dorry)
**
Oggetto: Rif:
mauro d'orazi allego file doc
Da: alice_ianniciello@hotmail.com
A:
<dorry@libero.it>
Data:
11/05/2012 18:07
Nessuna indelicatezza, su facebook c'è suo figlio
Marco Rinne tra i miei amici e gli somiglia tanto, e sua moglie Regina
Rinne.
Leggere quelle cose è stato molto
profondo e doloroso, gli volevo molto bene ci sono tante cose su lui e la sua
vita che lei non sa ovviamente.
Ha abitato per diverso tempo con noi sia
da solo che con moglie e figlio,
quando arrivò la telefonata dall'ambasciata ero li appena tornata da
scuola, le medie.
Il silenzio atroce, mio padre che era
l'unico fratello che amava e gli dava appoggio era in pensiero perchè era da
troppo che non riceveva sue notizie, non
ha mai mancato di tel e passare a trovarci.
Poi partì a recuperare il corpo, e poi
il proseguimento dall'aeroporto alla messa ed è seppellito nel mio paese, pochi
giorni fa era il suo compleanno, non credo ai casi.
Avevo buttato l'occhio stamane per una
cosa buffa mi chiamano dalla svizzera per cercare una persona col mio cognome
non essendo parente comunque,mi offro volentieri in questa riunione
affettiva,digito alcune parole e la prima cose che vedo è il nome di mio zio e
il mio adorato parco di Carpi che ho sempre amato e vissuto,io sono nata li.
Conoscevo anche Prisco, ma di lui ho
ricordo lontano.
Ringrazio dell'allegato.
Lo zio era una persona troppo
intelligente artista ,naif ,purtroppo essendo così bello ha fatto girare la
testa a quella contessa di Bologna che lo ha portato alle droghe e da li non si
è mai più fermato,passando anche per l'alcool.
Adorava mia madre e mi voleva un gran
bene.
Grazie di questa memoria di cui nessun
nostro parente stretto a lui era a conoscenza.
Ho accettato la sua richiesta, prima di
aver letto questa missiva.
Buona giornata.
Alice Ianniciello
Saluti, Alice.
Alice
Ianniciello
Molto piacere le ho mandato una email ,questo
è Marco il figlio di Franco spero abbai le foto visibili, la zia tedesca è
diventata matura, ma ha sempre il suo bel fascino.
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1577068024387.2078852.1166194975&type=3
o
di: Marco Rinne
----Messaggio originale----
Oggetto: R:
Rif: mauro d'orazi allego file doc
Da: dorry@libero.it
A:
<alice_ianniciello@hotmail.com>
Data:
12/05/2012 00:54
non sapevo che avesse un figlio..
spero che sia felice
almeno lui.
imparai della sua morte in un modo molto
particolare.
io sono un funzionario del comune che
apre e destina tutta la posta dell'Ente.
era un bel po' di tempo che non avevo
notizie di Franco.
aprii una busta e c'era il certificato
di morte del consolato
diretto allo stato civile del comune di
carpi
mahah :=((
ciao mauro
----Messaggio originale----
Da: alice_ianniciello@hotmail.com
Data: 12/05/2012 10.56
A: <dorry@libero.it>
Ogg: Rif: R: Rif: mauro d'orazi allego
file doc
Ah, cavolo brutto modo di sapere le
cose, ma d’altronde.
Si pare sia felice, è un genio anche
lui, musicista e smanettatore informatico,giornalista un pò tante cose, su face
c'è sia la mamma che il marito che ha allevato mio cugino.
Sulla foto che ti mando c'è la data 22
ottobre 1975 l'ha spedita dalla Germania
non so se sia il loro matrimonio ma ho
sempre amato questa foto? ?
Buona giornata
Alice
**
---Messaggio originale----
Da: dorry@libero.it
Data: 12/05/2012 11.50
A: <alice_ianniciello@hotmail.com>
Ogg: R: Zio e zia
è bellissima la foto
è del matrimonio di sicuro
che botta ... però è come se tornasse il
passato
grazie di cuore e un pensiero per lui in
un'altra dimensione
sono stordito
ciao
mauro
12-5-2012 Alice Ianniciello
ok leggerò questo con attenzione, ieri
mandai copia per email a mio padre, quella che mi ha inoltrato, non ho saputo
nulla i rapporti sono molto gelidi tra noi da un po’ di tempo. Verrò volentieri
quando passerò per Carpi. Grazie.
12-5-2012 Mauro D'Orazi
speriamo che non si arrabbi per il mio
scritto
12-5-2012 Alice Ianniciello
Ma non c'è nulla per cui arrabbiarsi,
non ne vedo motivo se non piacevole stupore.
12-5-2012 ore faMauro D'Orazi
bene bene ciao m
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grazie