martedì 27 dicembre 2011

Sudisti al Parco di Mauro D'Orazi dialetto carpigiano - Carpi (Modena)



Prima stesura 02-07- 2010                                               v 26      18-07-2014
Sudisti al Parco
                        
                                                                                                     di Mauro D’Orazi
revisione testo a cura di Giliola Pivetti

Revisione di Giliola Pivetti – Consulenza di Alice Ianniciello

 dedicato a Nadia Minichiello (+2013) che non è più tra di noi

Provincia di Avellino
Nei primi anni ’60 cominciarono a frequentare il Parco i figli degli immigrati dal sud Italia e definiti in gergo dialettale, oggi politicamente scorrettissimo, ma che riporto, con un certo imbarazzo, per dovere di cronaca e per far capire meglio il clima di allora, come maruchìn a Carpi, maruchèin a Modena, oppure anche taròun, taròoni o mandarèin. Oggi, in presenza di ben altre immigrazioni e per non perdere l'abitudine piccolo-provinciale alla distinzione, si usa per specificare … maruchìn di nostèer.  In quegli anni in zona ex Bar Mercato fu coniata anche questo modo di dire: Musica èelta, màachina bàasa, a gh è un maruchìn ch a l pàasa!
Fu anche coniato il termine di marucaja, nel dopo guerra, con riferimento ai gruppi di gente meridionale che per i loro usi e costumi lasciava perplessi gli indigeni locali. E’ forse uno fra gli ultimi esempi dell’uso specifico dei suffissi -aja. Si tratta di un neutro plurale collettivo che enfatizza il significato base del termine a cui si aggiunge. Nella generalizzazione si coglie un vago senso di negatività, dovuto alla sostanziale incomprensione tra due mondi, venuti repentinamente a contatto coi primi effetti del decollo economico di Carpi.
Ecco ad esempio una poesia del 1954 dal numero unico umoristico La scupàza, che dà una chiara idea dei sentimenti preoccupati e allarmati di quel tempo da parte dei carpigiani; oggi un tale testo non sarebbe pubblicabile, ma lo riporto per capire i sentimenti dell’epoca:

San Gennaro, peinsegh tè! 
di anonimo (probabilmente Micin)

Una volta l’invasiòun
a la fèva i Visigoti
o altri barbari assortiti
cun dal ghigni da marmòti.

I caleven zò dagli Elpi
sol per fer quelch’angheria,
un po’ d’stragi, un po’ d’rapini,
però dòp i andeven via!

I “invasor” dal dé d’incò
i desvìnen tutt d’inzò;
subit dop aver vist Cherp
ognun dis: Accà ce stò!

Strapianté ché in dal Carpsan
iin d’na sòca acsé scudrégna
ch’l’an desràza gnanc a pianzer
e l’è pés che la gramégna!

Anzi! Un ciàma “lu parente”,
cl’eter l’ciàma “lu cumpare”
e pian pian as sémm ridòtt
cà sembrém… a Marechiare!

I se sforzen sti bé tip
d’imiter la gìnt carpsàna,
ma i cunfonden seinsa vler
Piedigrotta e Cantarana.

                Un bel dé San Bernardein,
cun la luna un po’ d’travers,
l’à tinté d’mandéri via,
ma l’s’è acort ch’l’era teimp pers!

Ai carpsan chi s’arcmandéven
al ghe dgé in d’un’intervista:
“Mé, ragazz, an sò csa fer,
rivulgiv a un specialista!”

San Gennaro! Tè ti l’unich
ch’pòol giustér ste gran sapél,
fa l’afàri e at prumitém
un candlòt d’un méz quintél!

Fa turner lé dal tò pert
qui ch’in gnù in sti ultm’an,
perché in fonda, San Gennaro,
in ques tutt tò paruchian!

Cun al bouni o col catìvi
tè persuedii d’ander via!
Digh chi toghen al dùu d’curva,
a m’arcmand… e così sia!

Già da un po’ avevano iniziato ad arrivare a Carpi attirati dal nascente BOOM della maglieria, da un lavoro stabile e dall’invidiabile clima sociale e civile delle nostre zone.
Quasi tutte queste persone, spesso intere famiglie, dopo anni anche molto difficili, si integrarono bene a Carpi e divennero e sono oggi parte viva e sostanziale del suo complesso, ma solido tessuto sociale.
Rammento l’immigrazione dall’Irpinia  e il suono dei nomi delle famiglie più note e numerose cominciò a diventare consueto alle nostre orecchie: gli Ianniciello, i De Minico, i Venuta, ecc …
I rampolli di queste articolate e ampie famiglie cominciarono subito a frequentare anche loro il Parco … dunque nuove bande apparivano, altre si dissolvevano nel nulla. Ma il territorio di conquista era sempre quello: il Parco, un luogo dove potevano sfogare la loro grande vitalità ed energia giovanile.
Si trattava in genere di ragazzi con caratteri personali piuttosto primari e diretti, in dialetto si direbbe sèinsa tanti vultèedi (senza tante voltate, andando direttamente al punto).
Erano abituati subito a sistemare le questioni di territorio e di precedenze con la forza fisica, coraggio e sprezzo del pericolo, qualità di cui certamente loro non difettavano .  Spesso avevano una tribolata carriera scolastica e contesti familiari difficili.
Avessero incontrato i loro feroci omologhi carpigiani ante guerra e fino ai primi anni ’50, non ci sarebbe stato nessuno spazio per loro, ma invece incontrarono solo “noi”,   “rammolliti “ dal crescente benessere economico e materiale.  Ormai eravamo molto meno avvezzi a un sano e muscolare esercizio arbitrario delle nostre ragioni. Noi avevamo tutto da perdere, loro quasi nulla. Al lettore non sfuggiranno, mutatis mutandis, impressionanti analogie con la situazione attuale.
Tuttavia la convivenza pur difficile non era impossibile; ricordo solo qualche lite per uso improprio di bici altrui, discussioni sull’applicazione delle regole nei vari giochi di palline e, più tardi,  sui “diritti di frequentazione delle “bambine” e poi delle “ragazzine”..
**
Dei tanti ragazzi meridionali assidui frequentatori del Parco ne voglio ricordare due in particolare, fra i tanti possibili, la cui conoscenza ha lasciato  una traccia indelebile nella mia esperienza di vita e di frequentazione del Parco. Li richiamo alla mente con un sentimento di affetto umano, dovuto alla tragicità della loro vita; un duro destino che sembra talora malignamente prediligere e perseguitare certe persone. Un “perverso gioco “ della vita, che a un certo punto porta a confondere l’origine oggettiva e incolpevole delle cause di certi comportamenti, con quanto poi scaturisce dalla piena e cosciente consapevolezza personale e dall'esercizio del libero arbitrio. Erano portati a perseverare e aggravare progressivamente certe scelte socialmente negative fino a raggiungere punti tragicamente di NON ritorno.
Il passare del tempo e la morte, che tutto ridimensionano e attutiscono (è appena il caso di citare Totò "A morte 'o ssaje ched'è ? ... è una livella!"), mi consentono di addentrarmi, con tutto il rispetto possibile, in vicende dolorose e spiacevoli che andrebbero perdute per sempre.
Si tratta di due veri protagonisti di quell’epoca: Silvano Ianniciello, detto Franco, e di Prisco Ianniciello.
Franco era un po’ più grande di me e nacque a Carpi da una delle prime famiglie di immigrati; un bel ragazzo, non troppo alto, corporatura da ginnasta, carnagione scura, fitti ricciolini, due occhi penetranti velati da un’ombra di angoscia e insoddisfazione. Aveva un passo molto caratteristico, felpato e morbido, leggermente ondulante, che stava a significare: “ Sto arrivando! Sono qui ! Attenzione!”
Ottimo nuotatore, era noto per i suoi splendidi tuffi a pendolo e carpiati dalla piattaforma alta della piscina comunale di Modena (allora a Carpi non c’era ancora e poi, chissà perché, nelle piscine della nostra città è sempre stato vietato tuffarsi). Prima di buttarsi, si preparava per decine di secondi con mosse lente e studiate per assumere la posizione definitiva; quando era certo che il maggior numero possibile di persone lo stesse guardando … finalmente si lanciava con meritata ammirazione.
Una persona inquieta, che cercò sempre di integrarsi con noi, talora anche disperatamente; ma purtroppo non riuscì mai a trovare un suo equilibrio interiore stabile.
Dario D’Incerti ed io lo conoscevamo bene, nel periodo della tarda adolescenza. Per i suoi atteggiamenti decisi, lo consideravamo con un certo rispetto.
Ci raccontava storie di vita improbabili, ma mai sentite prima, che riesaminate con gli occhi di oggi, erano quasi totalmente di fantasia. Ma allora era anche bello crederci.
Me lo ricordo come fosse adesso quando si presentò al Parco in sella a un lucido e cromato motorino da cross Mondial da 50 cc; orgoglioso e appagato del suo nuovo invidiabile status.
Mondial cross da 50 cc
Decantava, senza risparmio di lodi, le fantastiche doti del mezzo e noi lì in cerchio ad ascoltare a bocca aperta. Dopo un po’ si seppe che si era eclissato da Carpi, senza mai aver pagato nemmeno la seconda rata del prestigioso acquisto.
Lo rivedemmo raramente, anche perché andò all’estero in Europa a cercare miglior fortuna.
Ad ogni incontro continuava a narrarci il suo repertorio di affabulatore, al quale noi, pur annuendo, facevamo fatica a credere. Si sposò ad Hannover in Germania con una tedesca di nome Regina Rinne, dalla quale ebbe un figlio: Marco.
22-10-1975 - Silvano (Franco) Janniciello e Regina Rinne sposi in Germania

La sua bellezza e prestanza latina, fecero girare la testa a una contessa bolognese, purtroppo dedita all’uso di droghe e che naturalmente lo coinvolse nell’abisso. Franco non seppe, o non volle, più fermarsi e da lì all’alcol il passo fu breve.

Ma una triste sorte attendeva questo singolare e infelice cavaliere errante, “artista naif”, disperato e intelligente; lo trovano morto in strada a Barcellona in Spagna nel 1986, avvelenato da chissà quale maledetta mistura liquida. A un fratello, quello che amava di più, toccò il triste compito di riportarlo a casa in aereo e seppellirlo nel cimitero di origine della famiglia.
Imparai la notizia in modo singolare; come funzionario del Comune il mio compito era di aprire tutta la posta. Aprii una busta del consolato spagnolo e con dolore e sorpresa trovai il certificato di morte per l’annotazione allo Stato Civile.
**
L’imprenditore e fotografo Norberto Magnani conosceva bene Franco Ianniciello, si frequentavano ed era diventato un po’ il protettore della loro compagnia per difendersi da altre bande di ragazzi un po’ irruente e irrispettose.
Un pomeriggio Norberto arrivò in Piazza con il suo Vespone, Franco gli chiese se poteva prestarglielo per una faccenda urgente. “Non c’è problema! - rispose Norberto - Però tieni anche il mio giubbotto perché c’è freddo.”
Franco prese scooter e giubbotto e partì; se non ché nella tasca interna dell’indumento, Norberto aveva lasciato consapevolmente una non trascurabile mazzetta di banconote nel tascone interno.
Dopo un’oretta Franco tornò e nel restituire quanto gli aveva prestato, abbracciò Norberto e gli disse con commozione: “Ho trovato i soldi e ho capito che ti sei fidato di me! Questa cosa per me è una prova di fiducia importantissima. Non lo scorderò mai!”
Negli anni successivi Franco sparì da Carpi e intraprese la sua complessa e arrischiata strada di vita; per Norberto fu una grande sorpresa rivederlo, dopo un bel po’ di tempo, in piazza a Carpi esibirsi in un gruppo di giocolieri e saltimbanchi.
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L’altro personaggio per vari aspetti eccezionale fu Prisco Ianniciello, forse lontano cugino del precedente. Un fisico robusto e muscoloso, capelli scuri e mossi con un ciuffo arruffato sulla fronte; il naso un po’ aquilino, la mascella decisa e squadrata; due occhi scuri e fiammeggianti di cui non era possibile sostenere lo sguardo.
D’estate frequentava il Parco, un capo popolo sempre con atteggiamenti esuberanti e senza regole. Spesso quando lo vedevamo arrivare facevamo su roba e palline per evitare pericolosi confronti. Infatti sfidarlo sarebbe stato un atto suicida ed io e tanti altri preferivamo prudentemente e preventivamente lasciare campo libero, spostandoci in zone più lontane … a distanza di sicurezza.
Ogni tanto appariva al Parco, o anche presso il pratino di via Hans Semper, dietro al vecchio macello - cremeria, armato di carte da gioco ed insisteva con tutti i presenti perchè si giocasse con lui. Ma in pochi avevano voglia di affrontare la sua foga, la sua abilità e di perdere le 10 o 20 lire, posta che subito proponeva, in evidente bella vista, prima di iniziare. Poi se ne andava  e spariva per giorni, ... per ripresentarsi allo stesso modo.
Mai avremmo pensato o previsto che invece in lui era ben presente un prezioso e eccezionale talento … quello della musica. Quasi da autodidatta si mise a suonare con perizia e passione la tromba e il sassofono. Prese parte a continue tournèe su prestigiose navi da crociera. Fu anche componente occasionale del complesso che accompagnava Toto Cotugno e che si chiamava Toto e i Tati nella seconda metà degli anni ’60.      
                          
Un sassofono                                 e un disco 45 giri di Toto e i Tati
Poi si trasferì a Torino a fare l’imbianchino. Ma anche per lui c’era un tragico destino ad aspettarlo. Verso i 40 anni nella sua testa qualcosa cominciò a non funzionare a dovere. Smise di girare e poi anche di suonare.
Passò gli ultimi anni a Carpi, dove svolgeva ancora saltuari lavori da imbianchino, arrotondando all’occorrenza; non era difficile vederlo pedalare con fatica su una scassatissima bici da donna per le strade del centro, sempre più tragica ombra di se stesso. Una sera d’estate del ’93 era fermo davanti al Mattatoio (Via Rodolfo Pio) e mi attentai a chiedergli: “Prisco ti ricordi quando eravamo al Parco: i giochi, le palline, le liti …? “Lui, con gli occhi persi nel vuoto, picchiandosi più volte col palmo della mano destra sulla fronte, mi rispose: “Io non mi ricordo niente …  la mia testa ha cancellato tutto  … tutto !!! Non so più nemmeno suonare !!“ Il tono era certamente triste, ma dava anche l’idea di una liberazione (finalmente) da dolori e tormenti di un passato che egli preferiva dimenticare dietro una coltre di oblio, per vivere un presente certamente vuoto, ma privo di sofferenza.
Lo guardai sorpreso e attonito, incapace di proferire una frase di replica minimamente sensata, al di là di un mio muto accenno del capo di pura circostanza. Il breve colloqui finì così e mi allontanai cupo e angosciato.
Qualche anno dopo, nel 2002, Prisco lasciò il mondo silenziosamente e da solo; lo trovarono a letto esanime, insalutato ospite di un mondo che non era più suo da tempo.
Ecco in conclusione come lo ricordò Gianfranco Imbeni su Voce di Carpi in una sua efficace nota del 25 settembre 2002:
“PRISCO IANNICIELLO
Non è vero, come ha scritto frettolosamente un quotidiano locale, che Prisco Ianniciello "amava suonare la chitarra", neanche nella giovinezza si era mai concesso a piacevolezze da compagnons de la chanson, quelli che esprimono sensazioni e che trasmettono emozioni. Quando suonava vibrava come le labbra al bocchino della tromba (il suo strumento principe) ed era una sonorità virginale. Suoni gratuiti, necessari, com'è della vera musica, un po' Miles Davies e un po' Gerry Mulligan, per intenderci. Fraseggi limpidi e liberi in un fluire di "legati", consoni alla sua indole, più ricorrenti rispetto agli "staccati" tipici invece di chi vuole colpire la fantasia. Fantastico lo era fin troppo del suo, e sapiente di tecniche, altro che  l'autodidatta che si diletta o vuole stupire!
Intorno ai trent'anni qualcosa lo distolse dalla sua tromba (e dalla tastiera del pianoforte che percorreva da virtuoso): non un "incidente", come anche è stato scritto, e forse nemmeno una cupa delusione amorosa. Da allora Prisco continuò fino ai 50 anni ad accompagnare in silenzio i suoi blues interiori, trascinando per mano la bicicletta, il passo elastico ritmante, lo sguardo celeste facile ad aprirsi a un sorriso disarmato, specie se qualcuno lo incitava a riprendere a suonare. Come per dire: "Che senso ha fare musica in una città come questa?!".
**0**
*
Anche lo scrittore Carlo Alberto Parmeggiani ricorda bene Prisco. Con lui ebbe una bella scazzottata che finì fortunosamente in favore del Parmeggiani; dopo diventarono addirittura buoni amici, tanto che da essere citato alla veloce nel suo romanzo "La vera storia di Leon Pantà".
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corrispondenza con la nipote Alice
Da: alice_ianniciello@hotmail.com
Data: 11/05/2012 13.42
A: <dorry@libero.it>
Ogg: blog dialetto carpigiano

Il fratello citato che andò a recuperare la mala sorte del fratello Silvano è mio padre, un flash di vita passatomi davanti gli occhi,
facevo una ricerca e mi ritrovo questo scritto a pochi giorni dal compleanno dello zio.

Non ho potuto pubblicare il mio pensiero senza accedere con profilo

Saluti, Alice  Janniciello
**
-------Messaggio originale-------

Da: dorry@libero.it
Data: 11/05/2012 16.40.25
A: alice_ianniciello@hotmail.com
Oggetto: mauro d'orazi allego file doc

cara alice
la tua email mi fa grande piacere
nonostante le tristi circostanze.
**
ho pensato così di ricordare e onorare tuo zio.
la cui tragica fine ancora mi turba profondamente.
era un ragazzo con delle valenze, ma forse anche troppe debolezze che lo hanno portato a seguire un destino tragico, a cui sono convinto, NON era obbligato.
spe(s)ro di essere stato delicato e nello stesso tempo aver rispettato la verità delle cose, anche dure.
tutti ricordi che altrimenti andavano persi.
e onestamente non mi sembra giusto
**
ti mando il testo completo che tratta del Parco
che ha voluto essere un affresco dei miei anni di gioventù.
Leggendolo nel suo complesso il contesto appare più chiara e giustificato
molte parti sono uscite in ben sei puntate su Voce di Carpi,
ma il pezzo sui meridionali , il direttore non ha voluto pubblicarmelo perché troppo ... triste e forse scomodo
*
mi trovi facilmente su facebook
come Mauro D'Orazi
e anche nel  gruppo di FB conosci il dialetto carpigiano.
spero di risentirti
ciao mauro d'orazi (detto dorry)
**
Oggetto:         Rif: mauro d'orazi allego file doc
Da:      alice_ianniciello@hotmail.com
A:        <dorry@libero.it>
Data:   11/05/2012 18:07

 Nessuna indelicatezza, su facebook c'è suo figlio Marco Rinne tra i miei amici  e  gli somiglia tanto, e sua moglie Regina Rinne.
Leggere quelle cose è stato molto profondo e doloroso, gli volevo molto bene ci sono tante cose su lui e la sua vita che lei non sa ovviamente.
Ha abitato per diverso tempo con noi sia da solo che con moglie e figlio,
quando arrivò la telefonata  dall'ambasciata ero li appena tornata da scuola, le medie.
Il silenzio atroce, mio padre che era l'unico fratello che amava e gli dava appoggio era in pensiero perchè era da troppo  che non riceveva sue notizie, non ha mai mancato di tel e passare a trovarci.
Poi partì a recuperare il corpo, e poi il proseguimento dall'aeroporto alla messa ed è seppellito nel mio paese, pochi giorni fa era il suo compleanno, non credo ai casi.

Avevo buttato l'occhio stamane per una cosa buffa mi chiamano dalla svizzera per cercare una persona col mio cognome non essendo parente comunque,mi offro volentieri in questa riunione affettiva,digito alcune parole e la prima cose che vedo è il nome di mio zio e il mio adorato parco di Carpi che ho sempre amato e vissuto,io sono nata li.
Conoscevo anche Prisco, ma di lui ho ricordo lontano.

Ringrazio dell'allegato.
Lo zio era una persona troppo intelligente artista ,naif ,purtroppo essendo così bello ha fatto girare la testa a quella contessa di Bologna che lo ha portato alle droghe e da li non si è mai più fermato,passando anche per l'alcool.
Adorava mia madre e mi voleva un gran bene.
Grazie di questa memoria di cui nessun nostro parente stretto a lui era a conoscenza.

Ho accettato la sua richiesta, prima di aver letto questa missiva.
Buona giornata.
Alice Ianniciello

Saluti, Alice.   
Alice Ianniciello
 Molto piacere le ho mandato una email ,questo è Marco il figlio di Franco spero abbai le foto visibili, la zia tedesca è diventata matura, ma ha sempre il suo bel fascino.
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.1577068024387.2078852.1166194975&type=3
o                           


----Messaggio originale----

 Oggetto:        R: Rif: mauro d'orazi allego file doc
Da:      dorry@libero.it
A:        <alice_ianniciello@hotmail.com>
Data:   12/05/2012 00:54
non sapevo che avesse un figlio..
spero che sia felice
almeno lui.
imparai della sua morte in un modo molto particolare.
io sono un funzionario del comune che apre e destina tutta la posta dell'Ente.
era un bel po' di tempo che non avevo notizie di Franco.
aprii una busta e c'era il certificato di morte del consolato
diretto allo stato civile del comune di carpi
mahah :=((
ciao mauro
----Messaggio originale----
Da: alice_ianniciello@hotmail.com
Data: 12/05/2012 10.56
A: <dorry@libero.it>
Ogg: Rif: R: Rif: mauro d'orazi allego file doc

Ah, cavolo brutto modo di sapere le cose, ma d’altronde.
Si pare sia felice, è un genio anche lui, musicista e smanettatore informatico,giornalista un pò tante cose, su face c'è sia la mamma che il marito che ha allevato mio cugino.
Sulla foto che ti mando c'è la data 22 ottobre 1975 l'ha spedita dalla Germania
non so se sia il loro matrimonio ma ho sempre amato questa foto? ?
Buona giornata
Alice
**
---Messaggio originale----
Da: dorry@libero.it
Data: 12/05/2012 11.50
A: <alice_ianniciello@hotmail.com>
Ogg: R: Zio e zia

è bellissima la foto
è del matrimonio di sicuro
che botta ... però è come se tornasse il passato
grazie di cuore e un pensiero per lui in un'altra dimensione
sono stordito
ciao
mauro
12-5-2012  Alice Ianniciello
ok leggerò questo con attenzione, ieri mandai copia per email a mio padre, quella che mi ha inoltrato, non ho saputo nulla i rapporti sono molto gelidi tra noi da un po’ di tempo. Verrò volentieri quando passerò per Carpi. Grazie.

 12-5-2012 Mauro D'Orazi
speriamo che non si arrabbi per il mio scritto

12-5-2012 Alice Ianniciello
Ma non c'è nulla per cui arrabbiarsi, non ne vedo motivo se non piacevole stupore.

12-5-2012 ore faMauro D'Orazi
bene bene ciao m


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