martedì 27 dicembre 2011

Curiosi luoghi incerti di Mauro D'Orazi dialetto carpigiano - Carpi (Modena)

file iniziale 2010                                              v 16    del   05-06-2014

Pillole dialettali - Curiosi luoghi incerti
di Mauro D’Orazi

Talora nella ricca varietà di modi di dire del nostro dialetto troviamo delle singolari frasi che apparentemente, con una traduzione letterale, danno delle indicazioni di luogo contrastanti; ma se poi andiamo a dare l’esatta interpretazione tutto torna a posto.
Ecco alcuni simpatici esempi.
Viin chè! Va mò là!” Se si traduce con un “ Vieni qui, ma vai là!”, l’interlocutore resterà come minimo disorientato, ma se al “Va mò là!” diamo la giusta valenza di esortazione, spesso scherzosa, ecco che tutto torna al suo posto con chiarissimo “Dai! Vieni qui!”

Una altra frase interessante è “ A vaagh su, a lavèer ṡò” ovvero “Vado su, a lavare giù”. Anche qui non si capisce esattamente dove verrà compiuta questa virtuosa azione di pulizia. Ma ecco se traduciamo correttamente “lavèer zò” col significato di fare i fatti nel lavandino di cucina, lavando pentole, piatti e bicchieri, la frase assume il suo vero valore.

Ultimo modo di dire è “ A vaagh ṡò, a trèer su”, letteralmente “Vado giù, a trarre su”.
Anche qui una traduzione superficiale lascia sorpresi. Dobbiamo, infatti, entrare in ambiente bugadèera e bughèeda (lavanderia e bucato), luogo in passato di incontro di donne, ma non certo piacevole per la grande fatica e umidità, denso di scambio di notizie e pettegolezzi (la famosa raadio bugadèera). In questo contesto “ trèer su” significa tirare su il bucato lasciato in ammollo per alcune ore. La frase quindi si traduce “Vado già in lavanderia a tirare su dall’ammollo il bucato”.
Prima che arrivasse la lavatrice, le donne facevano la "traata su" che era il bucato bianco che stava in ammollo nel paiolo con acqua bollente.
La bughèeda la stéeva a móoi ind la ṡmóoia, ch la s fèeva còn la sènndra ind al sindréer destéeṡ d sóover a la mastèela a dóoghi, missa insimma a la cruṡéera pèr alvèer la su, in bugadèera. Al paróol al s druvèeva pèr fèer buier l'aaqua da butèer insimma a la sènndra i  dal sindréer ...
E intàant ch i fèeven chi lavóor chè ... ste dònni ... gh  iivni gniint da cuntèeres .... in bugadèera ??
A vaagh su a cavèer èm ṡò. Vado su a spogliarmi (a cavarmi giù).
A m pièeṡ più parèer su che tóor èm ṡò. Mi piace più spingere su, che prendermi giù e disgustarmi con qualcuno.

A m mètt su quèel e a vèggn!

"Indù vèe t?"
"Ind um pèer ..."
"Aaa ..  tóorna prèesti!"

"Vèe t a pèss?" "No! A vaagh a pèss!" "Aaa a cherdiiva t andìss a pèss!"
Lè più quèll ch a s maanda ṡò che quèll ch a s cuccia su. È più quello che si manda giù di quello che si spinge su. La frase, apparentemente ingenua, nasconde (ma mica poi tanto) una forte allusione sessuale di complessiva insoddisfazione per ciò che si sarebbe fortissimamente voluto fare, ma … non si è poi di fatto potuto. Chi vóol capìir al capissa e avaanti un paas!

In definitiva … meglio su-dare che su-prendere. ma anche qui si tratta di una personale questione di gusti.

Ci sono anche degli equivoci: “Va gh mò a dmandèer s i vóolen"
Cl èeter al va e al dmaanda "Vulèev?" 

A m vèe t  cumprèer di calsètt?
Ed che culóor i vòo t?
Tóoi griiṡ ... mmm griiṡ  topo di Londra....

L um pòorta un vischi onṡeròcch sèinsa giàas!

Va piàan e fa prèest

Viin ché, va là

Istituto Settecani Molto interessante. Da noi (Spilamberto, non lontano da Savigno) si usa molto: A vagh e(a) Savégn, che può vale vado a Savigno, ma anche vado e vengo.

Curàag' ch a scapòmm! Coraggio che scappiamo!
S a n pasèe mai ded chè... gnìi bèin dèinter! Se non passerete mai di qui, venite pur dentro!

Dìgghia bèin sa tèes? Dico bene, Se taccio?
Tè esen! Taci asino! Simpatico gioco parole e assonanze.
Tèes mò! Ch a sintòmm ste dìi! Taci, che sentiano quello che dici!

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